Avventure reali e surreali di un viaggiatore solitario a Berlino – parte 2

Dedicato Al professor Bissanti – Il paesaggio degli odori è ancora qui e lo porto sempre con me quando cerco di creare con le parole, scritte o dette, un ambiente che possa permettere alla mente di recarsi altrove. Come quel cieco che un giorno ci insegnò tutto, chiedendoci soltanto “É bianco l’abete bianco?” (cit)

Ore 8.00 del sabato. Mi sveglio presto. Alle 10.00 ho appuntamento con una guida turistica. Luogo dell’appuntamento, Mac Donald della stazione dove ero arrivato il giorno prima. Per ora non vi dico il luogo di destinazione. Ringrazio però, vivamente, chi mi ha consigliato di andarlo a vedere. Onestamente avevo delle perplessità, quando ho prenotato la visita, a questo luogo, con guida inglese. Ma non c’erano alternative. Ho chiesto tramite mail e non ve ne erano in italiano. Di per se, sono un po contrario alle guide turistiche, perché,  come detto, mi piace sperimentare percorsi e scoprire le capitali a poco a poco. In questo caso, però, il posto è poco fuori Berlino ed è quello. Non c’è da sperimentare nulla. Ti ci accompagnano loro e non volevo visitarlo con un audioguida.

Mi avvio, di nuovo verso la stazione, passando da Fasanstrasse. Sapete, volevo vederla anche di giorno. Ovviamente, da buon deficiente, qualsiasi  cosa inizia per Fasanen è debitamente fotografata da me. Passo di nuovo davanti la chiesa di Gugliemo I (il dente bucato). Attraverso la strada in direzione stazione e noto un infinità di candele vicino alla chiesa nuova (vedi mappa sotto, con relative foto). Ri-attraverso la strada per vedere per cosa fossero. Delle foto di persone di nazionalità diversa. Un omaggio a persone morte. Collego in quel momento. Proprio in quel posto. Attentato di Berlino ai mercatini di natale, un paio di mesi prima. Guardo la foto delle vittime, con particolare attenzione alla ragazza italiana. Abbasso la testa. Un brivido mi corre lungo la schiena. Ci passero almeno un paio di volte al giorno, da quel posto ed ogni volta, d’istinto ho pensato al panico della gente. Ad un camion che ti viene incontro all’improvviso. La prima di una lunga serie di intense emozioni del giorno.

Sono in larghissimo anticipo. Ne approfitto per fare un primo giro nei giardini intorno a  Zoologischer Garten (Grober Tiergarten). Il corrispondente del barese Largo due giugno. Con l’ unica differenza che sarà 5 volte tanto. Mi aggiro come un ladro, per i vialetti che costeggiano lo zoo di Berlino. Da fuori vedo delle capre. Una mi guarda intensamente. Si sara innamorata di me. Che dire. Facciamo amicizia a distanza. Passo per un fiumiciattolo li vicino.

“Cavolo è ghiacciato” penso “allora fa freddo davvero. Non sono io che non sono abituato”.

Foto di rito (vedi mappa sotto, con relative foto). Odio i selfie, ma sono da solo. Che devo fare. Non passa anima viva. Proseguo ed arrivo allo stradone principale, che percorre il giardino (Str de 17 Juni). Un po di traffico. Volgo lo sguardo a destra e vedo in lontananza l’antenna di Alexanderplatz. Obiettivo di domani.

Si approssimano le 10. Il tempo e’ inclemente. Non piove, ma la giornata è uggiosa ed ho l’impressione che faccia più freddo del giorno prima. Sono un po ansioso. Sto per buttarmi, da solo, in una cosa nuova. Gruppo di turisti guidati, chissà di che nazionalità, con cui per forza, prima o poi, dovrò interagire in inglese. Con le guide sicuramente si. Soprattutto all’inizio. Torno indietro.

Arrivo alla stazione. Mi incontro con la guida. Una ragazza di nome Sophie, mi accoglie. Sono già arrivate una decina di persone. Questo è il luogo di incontro di diversi tour. Le guide sono diverse. Una tedesca, una inglese. Interagisco con loro. Scherziamo. Tutti ci tengono a precisare che dobbiamo comprarci, cose da bere e da mangiare perché, nel posto dove dobbiamo andare, non ci sono luoghi di ristoro. Lo sapevo già. Me lo avevano segnalato dall’Italia e mi ero già premunito.

Non ci credo. Capisco i concetti chiave e loro capiscono me. La guida inglese, Mr Deepsey, sembra veramente uscito da un film. Capelli rossi, coppola stile inglese in testa. Lo stereotipo dell’inglese. Non so se fa la parte, ho è cosi realmente. Dopo avermi chiesto di dove fossi di preciso, afferma

“Bariiii”

con aria allegra. Ci è stato.

Da li, ho preso il traghetto, per la Grecia.

Non mi sembra che si sia fermato a visitarla.

Piccola divagazione.

E’ un peccato che Bari, incominci ad essere conosciuta, ma solo come luogo di passaggio.

Mr Deempsey e la guida tedesca mi spiegano che Sophie ci accompagnerà dalla vera guida, insieme all’altro gruppo, che proviene dalla Stazione di Berlino est. Mi sembrano tutti molto affabili e simpatici. Almeno loro sembrano avere una simpatia per gli italiani. Il nostro gruppo prende il treno. Direzione fuori Berlino. A Nord. una mezzoretta di treno. Ad un certo punto del tragitto, nella stazione centrale di Berlino (vedi mappa sotto), ci incontreremo con l’altro gruppo. Arriviamo prima noi.

Un uomo con suo figlio mi guarda nell’attesa. Scherza con me sul fatto che fossi infreddolito. Lui si vede che è del nord europa. Un uomo più alto di me (io sono alto 1.83 per la cronaca), dagli occhi profondi e simpatici. Nasce un amicizia. Per tutta la visita, è un continuo scambio di battute e riflessioni in inglese. Perché specifico, in inglese? Perchè appena scopre che sono italiano, incomincia a sciorinarmi parole in italiano, con una pronuncia perfetta. Ma è solo qualche parola. Ha un amico a Roma che è andato a trovare più volte. Giochiamo ad insegnare parole in italiano al figlio sedicenne. Mi spiega che è un elettricista olandese.

Sono simpatici gli olandesi. I più simpatici tra la gente del nord europa, per il mio modo di vedere. Lo avevo constatato già, in un altra esperienza quando ero un bel po più piccolo. Vacanza universitaria con gruppo internazionale all’estero.

Ci incontriamo con Jean Jerome, la nostra guida e l’altro gruppo. Irlandese da 6 anni a Berlino. Incomincia a chiedere di che nazionalità sono le persone del gruppo.

Australia? New zeland? Malesia? USA? Sud africa?…….

Grida. Tutti i paesi possibili ed immaginabili. Ognuno alza la mano appena sente la sua nazionalità.

Indovinate chi e’ l’unico italiano?

Ancora 15 minuti. Arriviamo alla stazione di Orianenburg. Ci incamminiamo, verso il luogo della visita. E’ ad una decina di minuti da li.

Un timido sole ci coglie impreparati.

Una cittadina fatta di cottage. Elegante. Si respira la tranquillità della campagna in queste strade. E’ un contrasto forte rispetto a quello che questo posto è stato, solo qualche decina di anni prima. Facciamo la riflessione con il mio olandese, della differenza tra i palazzoni ultra moderni berlinesi e le casette in questo luogo.

Penso al fatto che oltre 200.000 persone, hanno camminato per queste stesse strade senza sapere che sarebbe successo.

Sono le 12, arriviamo al Campo di Concentramento di Sachsenhausen.

La persona che mi ha segnalato la visita, in Italia,  mi ha fatto capire che un po i Berlinesi si vergognano di questo campo ad un tiro di schioppo dal centro. Non è pubblicizzato molto.

La guida ci introduce al campo raccontandoci della marcia della morte di più di un migliaio di persone, evacuate al momento dell’arrivo dei russi. Molti moriranno in questa marcia forzata di spostamento.

Non posso e non voglio raccontarvi tutto quello che ci ha spiegato la guida. Io tra l’altro non ho capito tutto di quello che ha detto, ma alcuni concetti chiave si.

La prima cosa che dice che mi colpisce, appena fuori dal campo, è come la cittadina dai cottage eleganti e li attaccata al campo. Alcune case sono ed erano a vista campo ed altre, delle famiglie delle SS di rango più elevato, addirittura erano dentro il campo. Sachsenhausen non è un campo qualunque. Qui hanno sperimentato molto di quello che poi in scala più grande, sarebbe avvenuto nei campi di concentramento più conosciuti.

Sachsenhausen funzionava da campo di addestramento dei reparti di SS destinati alla sorveglianza e gestione di altri Lager: una vera scuola di sadismo e di meticolosa criminalità organizzata.

In realtà, inizialmente, nel 1936, quando è stato aperto, era un centro di rieducazione per gli oppositori del nazismo. Successivamente vi furono imprigionati, Sovietici, Rom, Ebrei etc..

Entriamo nel campo di concentramento vero e proprio. Altro brivido. Il cancello ha la scritta famosa ……. “il lavoro rende liberi” (arbeit macht frei). (vedi mappa sotto, con relative foto).

La storia dei campi di concentramento è nota, ma

quando entri li dentro, tocchi con mano i luoghi, ne respiri l’aria e tutt’altra cosa.

Una marea di pensieri ed emozioni circolano in testa. Il campo è a forma di triangolo equilatero di 600 metri di lato. Le baracche non ci sono più. Si vedono per la maggior parte, solo i perimetri delle aree occupate dalle stesse. Il campo e’ stato abbandonato nel 1950. Le baracche intorno erano state demolite, anche per cancellarne la memoria, ci spiega la guida. Alcuni materiali originali delle baracche, ci spiegano, sono stati accatastati nelle vicinanze e quando negli anni 60 sono arrivati fondi per la memoria dell’olocausto,alcune delle baracche sono state ricostruite con materiale originale.

E’ uno scalare di emozioni.

Ci fermiamo nella piazza dove veniva fatto l’appello dei prigionieri. Nel campo, i prigionieri venivano fatti marciare e correre per 25-40 km al giorno, per testare le scarpe delle SS in condizioni di guerra. In alcuni momenti, per simulare il carico dei soldati, i prigionieri dovevano portare nella marcia, sacchi di sabbia di 25-30 kg.

Mi è capitato di fare anche 25 km a piedi in altri viaggi, ma sono giovane, in forma e ben nutrito. Il giorno dopo pero ero a pezzi. Come potevano stare loro? Denutriti e con le continue marce. Non posso nemmeno immaginarlo. Molti sono morti di stenti.

Mi sembra quasi di sentire i passi, la gente che cade. Fa un freddo cane e venire qui in febbraio, con queste temperature, non fa altro che accentuare le emozioni, che non sono addolcite dal calore del sole. Vedo un camino sbuffare da un capanno in fondo al viale. Mi aiuta a visualizzare la scena di quello che era quel fumo qualche decennio prima. La sensazione non è assolutamente piacevole. Quasi mi vergogno. Non so perché.

Altro concetto agghiacciante. Non ho sbagliato a citarvi la data. Il campo e’ stato chiuso nel 1950 seriamente. Nei 5 anni successivi è stato utilizzato dai sovietici come campo di prigionia delle SS di basso e medio rango.

Ne sono morti 12.000 su 60.000, qui, di tedeschi. La guida ci spiega che il tasso di mortalità è lo stesso del periodo di gestione delle SS. Della serie:  “ogni regime ha i suoi peccati.”

Facciamo una visita per le cucine. Ci raccontano di cosa nutrivano i prigioneri. Ben poco, qualche zuppa serale, un surrogato di caffè, un po di marmellata, qualche tozzo di pane nel corso della giornata.

Arriviamo al museo, oltre agli oggetti presenti dei prigionieri, la cosa che mi colpisce di più sono due pali con una fessura al centro.

Dal settembre al novembre 1941, 18.000 prigionieri di guerra sovietici furono eliminati col colpo alla nuca. Esisteva per questo un’apposita installazione in una baracca non lontana dal campo, dove i prigionieri col pretesto di una normale misurazione della loro statura, venivano invece uccisi con un colpo di pistola, sparato da un SS appostato dietro una fessura del muro, corrispondente all’attrezzatura della misurazione. I due pali sono gli originali dei pali di misurazione dell’altezza. 

Ci fanno fare una visita presso le baracche ricostruite.

L’odore del legno trattato e’ strano. Molto forte. Anche in questo caso, questo odore accentua la sensazione claustrofobica delle stanze dove dormivano i prigionieri. Letti a castello su tre piani in serie. In ogni letto, tre persone.

Vediamo i bagni. I posti dove si lavavano. Un piccolo museo nell’altra ala delle baracche.

Tutto emozionalmente molto forte. Ma non è niente.

Ci approssimiamo alla fine della visita. La zona dei forni crematori. Ci sono ancora i resti degli stessi, il perimetro delle stanze delle esecuzione dei sovietici di cui vi ho parlato prima, quello delle camere a gas. La cosa più impressionante è comprendere come tutto funzionasse a catena di montaggio.

L’impegno e la precisione nella progettazione della struttura delle stanze, per non fare sentire niente e non fare agitare i prigionieri è da brividi. E’ il climax delle emozioni.

Di fronte ad una scritta che cita una frase del discorso di un ex prigioniero del campo nel 1995, alcuni non riescono a trattenere una lacrima. 

Il finale della visita è nella sala delle autopsie poco distante. Qui venivano fatti esperimenti sui bambini. Anche questo è impressionante, ma il culmine lo abbiamo già raggiunto precedentemente.

La guida irlandese ci fa capire, come Berlino sia cambiata. E’ di mentalità aperta. E’ orgoglioso di viverci da sei anni.

Ci avviamo all’uscita del campo ed alla stazione per tornare a Berlino.

Un silenzio irreale ci avvolge, stemperato solo da un altro timido raggio di sole. Il fratello che ci aveva accolto all’arrivo.

Ci sono morte più di 100.000 persone li. Come se circa un terzo degli abitanti della mia città, venissero spazzati via nel giro di pochi anni.

Sono le 16.30 circa. Al ritorno, sul treno, mi prende una strana nostalgia. Sia per l’ esperienza fatta, sia per ragioni personali.

A meta percorso, una distrazione salutare. Bambini che giocano a hockey su un laghetto ghiacciato. Ne parliamo con il mio amico olandese.

Sembra un soggetto perfetto per un quadro. Mi immagino Van Gogh che dipinge la scena e mi torna un mezzo sorriso.

Il pomeriggio ed i giorni successivi, saranno ricchi di nuove esperienze. Ma questa è un altra storia che vi racconterò la prossima volta. Preferisco fermarmi qui e fare un paio di considerazioni.

La visita al campo di concentramento è un “must”, più degli altri, a Berlino, secondo me.

La scelta di fare la visita con la guida in inglese, si è rivelata azzeccata.

Se avessi avuto una guida italiana, avrei capito di più, ma condividere un esperienza del genere con nessun italiano ed un gruppo proveniente da tutto il mondo, ha reso l’ esperienza, secondo me, più forte. Anche il lato negativo, viene compensato dal fatto che ho approfondito dopo, alcuni lati della storia del campo che magari mi sembravano poco chiari o su cui ho avuto dubbi.

TO BE CONTINUED

Udito – Musica consigliata: Birdy – The A Team [Live]

Gusto: birra

 Olfatto: birra

Tatto: pietra

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